Palazzo Silvani

Monday, January 18, 2010

Lo scandalo della Banca Romana:
sceneggiato dove un protagonista è un ottimo Fiorello!
Credete sia cambiato qualcosa? Tangenti non so  ,ma in quanto alle ispezioni nell'ambiente dell'Esattoria posso avere il legittimo sospetto che ci siano molte somiglianze.Tutto andava bene sia per le ispezioni routinarie che quelle straodinarie. Tutto improvvisamente non andava bene ed io lavoravo cosi' da diciannove anni.Questi ispettori cosa guardavano?Alla fine la peggio l'hanno avuta come sempre gli esattori sotto inchiesta per 13,6 anni.Solo gli esattori (ma non tutti)dovevano lavorare bene!Solo io avevo delle responsabilita!Da da subito lo zelante pubblico ministero mi inibiva dalle mie funzioni procurando contentezza immediata da parte del concessionario (banca) che piu' facilmente poteva adossare a noi tutte le inefficenze e responsabilità.(cosa che non succede neppure per concussione per il dipendente pubblico)E' stata una punizione anticipata del tutto graduita.Anche un orbo vedeva che eravamo soprattutto onesti coglioni! L'illusione di riuscire ad arrivare al regista è rimasta tale,ma questo si sapeva già! Ho fatto davvero male a non rubare davvero!!Fintanto che sarà sempre il piccolo a pagare un prezzo in questo caso piuttosto alto le cose non cambieranno e questo è davvero un vomito!!!!Come le motivazioni della sentenza che sono farcite da inesattezze! Come pure la stampa che per tanti anni ha infangato solo gli esattori senza voler capire come stavano veramente le cose!Ma si sa che è meglio stare dove ci sono i quattrini......Non ci voleva molto a capire la situazione...ma dopo tanto tempo chissenefrega eh?Nessuno si è accorto del male che hanno fatto a un semplice lavoratore esecutore di un sistema arrugginito....ma tanto deve pagare sempre il solito fesso!

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Lo scandalo della banca romana.
La storia
L’intreccio tra finanza e politica non è una novità dei nostri giorni: basti pensare che sul finire del XIX secolo, pochi decenni dopo l’Unità, in Italia scoppiò uno scandalo che portò alla luce la commistione tra politica, banche e affari. Le premesse di questa grave crisi finanziaria furono da una parte la speculazione edilizia (in tutto il paese, ma in particolare a Roma con lo spostamento della capitale) e dall’altra i circuiti poco trasparenti generati dal finanziamento delle campagne elettorali e della politica in genere, nonché l’assenza di una reale riforma del sistema bancario. Nel 1889 le banche autorizzate all’emissione di cartamoneta erano sei (la Banca nazionale, la Banca romana, la Banca nazionale toscana, la Banca Toscana di credito, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia) e il loro operato riscuoteva sempre maggiori critiche. La gestione degli istituti di emissione appariva piuttosto dubbia, mentre sempre più evidenti apparivano le connessioni tra il mondo politico e le banche, tanto che le inchieste parlamentari erano state puntualmente insabbiate da governi e Parlamento, fino al 1892 quando, divenute note le vicende della Banca romana, scoppiò uno scandalo. La prima indagine Ma facciamo un passo indietro. Nel 1889, principalmente a causa della crisi del settore edilizio, alcune banche si trovarono sull’orlo del fallimento. La cosa accreditò le voci che circolavano da tempo circa un’eccessiva emissione di carta moneta da parte delle banche autorizzate. Il ministro dell’agricoltura Miceli promosse l’inchiesta amministrativa per verificare l’operato delle banche autorizzate a stampare moneta che fu affidata al senatore Giuseppe Alvisi (già deputato della Sinistra) insieme al funzionario del tesoro Gustavo Biagini. Bisognava capire, in particolare, se il quantitativo di denaro emesso fosse congruo ai parametri stabiliti. I risultati confermarono i sospetti: la Banca romana aveva stampato 25 milioni di lire in più e aveva sanato l’ammanco di diversi milioni con una serie di biglietti falsi (duplicava cartamoneta già stampata); inoltre fu messo in evidenza il coinvolgimento diretto del suo governatore Bernardo Tanlongo. Dalle indagini emerse anche che la Banca aveva utilizzato questo denaro non solo per finanziare le speculazioni edilizie, ma anche politici e giornalisti. Per evitare lo scandalo durante i tre anni successivi Crispi, Giolitti e anche Di Rudinì preferirono tenere segreti i risultati in nome degli interessi più alti della patria. L’inchiesta, dunque, venne insabbiata per scongiurare le conseguenze negative che avrebbe avuto tanto sul sistema creditizio che sul mondo politico. La nuova indagine e l’esplosione dello scandalo Il 24 novembre 1892 Alvisi morì di crepacuore, senza esser riuscito nemmeno a leggere la sua relazione sulla situazione “morale” delle banche. I risultati della sua inchiesta arrivarono – dopo la sua morte – nelle mani di Napoleone Colajanni, deputato radicale, che li riferì alla Camera durante la seduta del 20 dicembre. Lo scandalo era scoppiato. Le resistenze di Giolitti alla possibilità di avviare un’inchiesta parlamentare, portarono ad avviare una nuova ispezione sugli istituti di emissione presieduta da Gaspare Finali; Enrico Martuscelli, che si occupò della Banca romana, confermò quanto scritto nella relazione Alvisi. Quando la Camera fu informata dei risultati, Zanardelli (che la presiedeva) indicò i nomi dei sette membri della commissione parlamentare d’inchiesta (che per questo diventerà nota, nelle cronache del tempo, come “la commissione dei sette”, presieduta da Antonio Mordini) per esaminare i documenti e le testimonianze raccolte. Per quanto relativo alla Banca romana, furono arrestati il direttore Michele Lazzaroni e il governatore Bernardo Tanlongo che disse di aver versato cifre significative anche a diversi presidenti del consiglio. Dopo le numerose rivelazioni, Giolitti fu accusato principalmente di tre cose: di aver tenuti nascosti i risultati del lavoro di Alvisi (all’epoca era ministro del tesoro), di aver proposto il nome di Tanlongo come senatore e di aver ricevuto denaro dalle casse della Banca romana per finanziare le sue campagne elettorali. Il presidente del consiglio si difese negando di essere stato a conoscenza della relazione Alvisi e di aver ricevuto denaro dalla Banca romana, ma dopo la lettura della relazione della Commissione dei sette – “Non ricordiamo nella storia del Parlamento il caso di un presidente del consiglio colpito così in pieno petto, dinnanzi alla Camera affollata e fremente, da una sentenza solenne, che lo convince di reati gravi in ordine politico e morale” scriveva l’editorialista del Corriere della Sera il 23 novembre 1893 – rassegnò le dimissioni e decise di trascorrere un periodo all’estero. Tutti salvi I nomi legati a quello strano e oscuro personaggio che era Tanlongo erano molti ed eccellenti: lo scandalo della Banca romana aveva travolto la politica, almeno in parte e allo stesso tempo rappresentava la crisi finanziaria che il paese stava attraversando. Ma il processo del 1894 assolse tutti, anche Tanlongo (Sor Berna’, come lo chiamavano in Banca), per insufficienza di prove: i giudici accolsero la tesi che sosteneva la sottrazione, nel corso delle indagini, di importanti documenti. Le ripercussioni, però, furono notevoli. Dal punto di vista politico la più evidente fu la scomparsa – momentanea – di Giolitti dalla scena politica. Dal punto di vista finanziario, la più importante fu sicuramente l’istituzione nel 1893 della Banca d’Italia – che sarebbe poi diventata l’unico istituto di emissione dello Stato – a cui fu affidata la liquidazione della Banca romana. *